Avellino, in un liceo noto, il classico Colletta. Dove lunedì 27 marzo e mercoledì 29 gli studenti di quattro classi (una terza e tre quarte) hanno in programma il primo pacchetto di «esperienza sul campo». Un approfondimento pratico dello studio del ciclo dell’acqua, deciso a inizio anno e reso possibile grazie a una convenzione con l’Università di Napoli e degli acquedotti di Napoli e della Puglia. Ma quando, un paio di giorni fra, è stata distribuita tra i ragazzi la circolare della scuola con le istruzioni per la giornata, gli studenti hanno trovato una sorpresa: per le due giornate di alternanza dovranno sborsare dieci euro alla volta. Un contributo sgradito, che servirà a pagare il trasporto da Avellino a Napoli.
«L’alternanza è obbligatoria, non si possono prevedere costi a carico delle famiglie: va contro il diritto allo studio», sostiene l’Unione degli Studenti, che si fa carico della protesta dei ragazzi costretti a esborsi non preventivati. «Le uscite previste sono una decina: il costo totale salirà ad almeno cento euro a testa», dice ancora la coordinatrice nazionale dell’associazione, Francesca Picci. «Sono mesi ormai che ci arrivano costanti denunce di studenti a cui viene chiesto di pagare per poter accedere ai percorsi di alternanza – sostiene -. Crediamo nel valore formativo dell’alternanza scuola-lavoro ma abbiamo visto come in questo anno e mezzo i problemi sono stati tanti e di varia natura: dallo sfruttamento vero e proprio degli studenti alla totale inadeguatezza delle esperienze formative».
La dirigente dell’istituto è fiera del tessuto di relazioni attivate per far allenare i suoi ragazzi. E questa critica è un colpo duro da digerire «Ho detto ai ragazzi che se non erano d’accordo avremmo trovato un altro interlocutore. Si possono ridurre le ore di laboratorio. E ho assicurato loro che se avanzeranno dei fondi in bilancio rimborseremo parte delle quote versate. Con i soldi che la scuola ha in cassa abbiamo già comperato i camici usa e getta che i ragazzi dovranno indossare.
Ma gli studenti non sono d’accordo: «È il principio a essere sbagliato: dover tirar fuori dei soldi rende le esperienze inaccessibili per chi non han possibilità economiche e deresponsabilizza lo Stato dagli investimenti in istruzione. I rimborsi poi saranno solo eventuali e solo per i redditi più bassi».